Una voce profetica

Il monaco, come ogni cristiano impegnato nel seguire la via del Signore, si pone delle domande alle quali chiede risposta. 
Il monaco talvolta è inquieto, afflitto e disorganizzato, eppure porta con sé una visione di pace.
I suoi discorsi vanno controcorrente, possono suscitare dubbi e irritazione, ma il monaco riesce a toccare il cuore dell’ascoltatore e a donare anche una sensazione di compiacimento.
In realtà, il monaco è portatore di una visione animata da un fuoco profetico, il fuoco di Cristo, ed è vivo nel suo cuore lo stesso desiderio di Gesù Cristo quando disse: «Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso!» (Lc 12,49).
L’esperienza monastica è inseparabile da una conoscenza profetica, da una voce profetica, da un’esperienza la cui interpretazione è profezia. 
È una voce che va al di là del semplice giudizio sociale e religioso.
E mentre non si tratta di predire gli eventi futuri, anche se ci possono essere delle intuizioni che permettono di spiegarne l’evolversi, il monaco è consacrato ad essere uno strumento e a portare nella sua persona la grandezza e il peso della Parola di Dio che prende voce attraverso di lui.
La profezia è l’interpretazione di un particolare momento all’interno della storia, è la divina consapevolezza di una situazione umana. 
Il monaco, come profeta, è un esegeta dell’esistenza vista dalla prospettiva divina, una prospettiva rovesciata e perciò portatrice di novità capaci di stravolgere lo status quo.
Infatti, la Pax benedettina, pur circondata da una corona di spine (Pax inter spinas), è un grido di riconciliazione contro la situazione creata dall’attuale guerra che purtroppo sta investendo il mondo intero.
La profezia non ha una dimensione solamente individuale, riferita singolarmente al monaco, ma è anche cooperativa poiché coinvolge la vita di tutta la comunità monastica; nel Libro del profeta Gioele leggiamo: «Io effonderò il mio spirito sopra ogni uomo e diverranno profeti i vostri figli e le vostre figlie» (Gl 3,1).
L’unzione dello Spirito Santo, con cui siamo stati chiamati a partecipare alla pienezza di Cristo, include anche il ministero profetico. 
Infatti, i monaci “nulla antepongano assolutamente a Cristo” (RB 72,11) e questa sequela al loro Signore li rende contemplativi e imitatori di Cristo, così da trasformare tutta la comunità in uno mezzo attraverso il quale il Signore annuncia il Regno dei Cieli.
I monaci scoprono attraverso la Liturgia la dimensione profetica che mette tutta la loro vita al servizio “missionario” della Parola, in modo che la comunità monastica sia una testimonianza in questo tempo e in questo mondo. 
La comunità monastica non solo offre agli altri ciò che al suo interno viene contemplato, ma presenta una visione unitaria di “contemplativi in missione” per la vita del mondo. 
I monaci, vivono la “missione” che nasce dalla quotidiana esperienza di essere uditori e meditanti della Parola, ed esegeti che narrano, testimoniano e interpretano la Parola con la loro vita.
Oggi, ogni monastero esprime lo stile profetico attraverso la Liturgia e l’ospitalità.
Mediante la preghiera del monaco e in modo particolare attraverso la Liturgia vissuta in comunione, la parola profetica è la “voce che grida dal deserto” ed è attraverso questa voce che il Dio invisibile si fa sentire. E qui, l’ascolto del monaco diventa il suo impegno al fine di introdurre nella sua preghiera e nella sua vita, il dolore, la sofferenza, l’ingiustizia, la povertà e la violenza di cui sono vittime uomini e donne che attendono libertà, imparzialità e compassione. 
Il monaco come profeta e la comunità monastica come sorgente di profezia non possono che produrre una “controcultura”. 
La vita del monastero si fa sentire per la sua “in-utilità”.
Qui si mette a nudo la differenza tra illusione e sostanza, e ogni giudizio è vissuto all’interno della comunità come il momento di un “kairos”, un tempo speciale, un tempo di decisione.
Il ministero del monaco è profondamente inquietante ma capace di donare direzione, significato e alternativa.
Forse, questo spiega i commenti che spesso arrivano dal mondo che considera e pure giudica la presenza del monaco e in particolare la sua voce profetica, preoccupanti, disturbanti, allarmanti, fastidiosi, ma come ci insegnano i profeti di ogni tempo, ogni profezia è un invito ad un’autentica liberazione proprio perché spesso porta una denuncia.
Secondo la tradizione monastica, ogni ascolto vuole essere un’espressione di amore perché il monaco sa che la sua ricerca è rivolta ad un Dio che è amore, e sa anche che la sua vita è portatrice di un messaggio, un messaggio profetico puntuale, opportuno e provvidenziale proprio in questo tempo. 
Infatti, il ritiro, la solitudine e il silenzio, che raffinano l’ascolto del monaco, sono le note distintive dell’homo loquens, dell’uomo che parla in nome della Parola.

12 Una parola ha detto Dio,
due ne ho udite:
la forza appartiene a Dio,


13 tua è la fedeltà, Signore;
secondo le sue opere
tu ripaghi ogni uomo.
(Sal 62, 12-13)
La vita liturgica del monaco e della comunità monastica sono il campo in cui si manifestano tutte le dimensioni umane connesse con la voce che proclama la Parola. 
Il canto, la lettura, la celebrazione liturgica e il semplice parlare quotidiano aprono traguardi di competenza all’homo loquens affinché la sua vita si trasformi in epifanie per rivelare il desiderio che ha Dio per il bene del suo popolo.
Oltre ad identificarsi con un mondo confuso e con l’umanità ferita, il monaco dona una speranza che è radicata nella fede escatologica che vuole preparare nel cuore dell’uditore un’apertura per la vera accoglienza del Regno di Dio.
Il monaco è preso dalla Parola e in virtù dei suoi voti monastici è impegnato a dare testimonianza di alternative vitali che sono essenziali per la sopravvivenza stessa dell’esistenza umana. 
Oggi l’umanità è a un crocevia: dobbiamo scegliere tra l’estinzione e la vita.
La guerra e la violenza, da tempo ormai, hanno iniziato e stanno portando avanti una tragedia che tocca ogni essere e che rischia di eliminare qualsiasi possibilità di crescita; la guerra è diventata un inevitabile fatto doloroso della vita a cui non si può sfuggire se non con un’autentica conversione del cuore.
Infatti, da sempre, la verità è che 
non c'è una via per la pace, 
perché soltanto la pace è la via.
Chi vive nel monastero è consapevole di portare su di sé  l’inevitabile responsabilità di dimostrare che ogni forma di violenza e di guerra sono crimini contro l’uomo. 
Ogni cuore è chiamato ad un’autentica conversione per mezzo della quale, attraverso un percorso di ascesi, impariamo a disarmare il cuore stesso che purtroppo è il vero laboratorio di ogni guerra.

Il perché della nostra vita monastica così “in-utile” sta nella visione che nasce dalla ricerca e dall’incontro con Dio che si trasforma nell’impegno di conformarsi ad imitazione del Dio di Gesù Cristo che è “amante della vita” (Sap 11,26). 
Affidandosi a Dio e impegnandosi secondo la sua Parola, il monaco continua, oggi, ad offrire alternative di libertà sottolineando la priorità di una coscienza illuminata dallo Spirito Santo e denunciando ogni abuso di potere, ogni forma di ingiustizia e soprattutto di violenza e di guerra.

Il monaco, con amore, 
offre il suo monastero come cittadella di pace,
in tempi segnati da una tragica realtà di proporzioni mai immaginate
che potrebbe provocare il fallimento completo
e la rovina dell’umanità
e poi un immenso divino malcontento nel cuore di Dio.